
La Collezione Farnese si annovera tra le più grandi e celebri raccolte di sculture antiche formatesi durante il Rinascimento. Nonostante sia oggi conservata lontano dalla sua sede originaria, essa rimane sostanzialmente intatta. Questa raccolta monumentale, frutto di quasi un secolo di acquisti, scavi e ricerche sul mercato antiquario, testimonia sia la volontà di autocelebrazione e l'esaltazione di una potente famiglia, sia una profonda passione per l'antico.
La Nascita di un Sogno Rinascimentale a Roma
L’aggregazione delle opere iniziò per volontà di Alessandro Farnese (1468-1549), il futuro papa Paolo III, a partire dal 1534. Durante il suo pontificato, Paolo III emanò un editto che concedeva alla sua famiglia il diritto di eseguire scavi e di ricavarne marmi, pietre e sculture per la costruzione e decorazione della sua residenza romana, il Palazzo Farnese.
Il nucleo iniziale della collezione proveniva da importanti aree archeologiche di Roma, come il Foro Romano e l’Hadrianeum (Tempio di Adriano). Le antichità vennero rinvenute sia durante gli scavi per le dimore di famiglia, sia tramite l'acquisto di collezioni private (come quelle dei fratelli Sassi e Bernardino Fabio) e persino attraverso la confisca di opere a danno di famiglie rivali (come i Colonna).
Questo primo nucleo confluì nel nascente Palazzo Farnese, progettato inizialmente da Antonio da Sangallo e completato, dopo la sua morte (1546), sotto la direzione di Michelangelo.
Un evento cruciale per la fortuna della raccolta fu lo scavo a cielo aperto del complesso termale di Caracalla (Thermae Antoninianae, 212/216 d.C.) tra il 1545 e il 1546. Questi scavi, utili anche per recuperare materiale edilizio per il completamento del Palazzo, restituirono sculture eccezionali e di dimensioni monumentali, quali l’Ercole e il Toro Farnese, opere che in origine dovevano abbellire uno dei più grandiosi esempi di terme imperiali.
Già nel 1550, l’erudito Ulisse Aldrovandi definì il complesso scultoreo di Palazzo Farnese, pur non ancora completamente sistemato, come "per ricchezza e prestigio, una delle massime collezioni di antichità della città".
L'Epoca d'Oro: Il "Gran Cardinale"
Dopo la morte di Paolo III (1549) e del nipote, il cardinale Ranuccio Farnese (1565), la collezione passò in eredità ad Alessandro Farnese il Giovane (1520-1589). Conosciuto come il "Gran Cardinale", Alessandro era un uomo di grande cultura e uno dei maggiori mecenati della sua epoca.
Con l'aiuto del fidato antiquario Fulvio Orsini, il cardinale Alessandro esercitò una quasi incontrastata egemonia sul mercato delle antichità. Sotto la sua guida, la Collezione raggiunse proporzioni smisurate, tanto da richiedere l’istituzione di laboratori di restauro e depositi presso la residenza. Un inventario del 1568 testimonia la quantità di opere antiche e il progetto di allestimento mirato a celebrare la magnificenza della famiglia.
Le opere monumentali erano collocate principalmente al piano terra del Palazzo, sotto le arcate dell’ampio cortile (Fig. 2). Il Toro Farnese, ad esempio, fu sistemato in un recinto nel secondo cortile. Il resto delle opere fu raccolto in modo tematico in gallerie, sale di rappresentanza e nel gran salone.
Un ulteriore arricchimento giunse nel 1586 con la morte di Margherita d’Austria, vedova di Ottavio Farnese. Il suo lascito incluse notevoli sculture e la famosa collezione di gemme già appartenuta a Lorenzo de’Medici, tra cui la celebre “Tazza” in agata sardonica.
Ritenendo che il Palazzo Farnese non potesse contenere l'intera raccolta, Alessandro acquistò altre proprietà come la Villa sulla Tevere (la cd. Farnesina), gli orti di Trastevere e alcune vigne sul Palatino (i futuri Horti Farnesiani).
Il Declino e il Trasferimento a Napoli
Alla morte del Cardinale Alessandro (1589), la collezione, una delle più importanti raccolte private di antichità, avrebbe dovuto rimanere per sempre legata a Roma, come stabilito nel suo testamento; una volontà che fu disattesa dai suoi eredi alla fine del Settecento.
Il nipote Odoardo Farnese (1573-1626) si dedicò principalmente all'organizzazione dell'immenso complesso scultoreo. La raccolta continuò a crescere, in particolare dopo la morte di Fulvio Orsini (1600), che lasciò in eredità ai Farnese la sua raccolta privata (ritratti di filosofi, rilievi, gemme e medagliere).
Un inventario del 1644 mostra come la disposizione delle sculture fu influenzata dal gusto barocco. Il punto focale del nuovo allestimento divenne la celebre galleria del Palazzo, affrescata da Annibale Carracci. Le opere considerate di "minor pregio" furono spostate nelle altre residenze.
Tra il 1720 e il 1731, la famiglia si trasferì a Parma, divenuto il nuovo epicentro dei loro interessi. Con l'estinzione del ramo maschile della dinastia nel 1731 (morte di Antonio Farnese), la collezione passò ai Borbone tramite Elisabetta Farnese.
Quando il figlio di Elisabetta, Carlo III di Borbone, salì al trono del Regno di Napoli (1734), decise il trasferimento delle raccolte di antichità da Parma a Napoli, con l’intento di creare un Museo che esaltasse la potenza dinastica. Il progetto fu concretizzato dal figlio Ferdinando IV (I), che esercitò intense pressioni sul governo pontificio. Aggirando le norme sul divieto di esportazione e superando il dissenso di studiosi illustri (come Pietro Ercole Visconti), Ferdinando ottenne il permesso (in parte estorto) da papa Pio VI nel 1787 per trasferire le opere a Napoli.
Nel giro di poco più di dieci anni, le sontuose residenze farnesiane furono progressivamente svuotate. Il viaggio dei marmi farnesiani segnò la fine della collezione come concepita a Roma nel Cinquecento e Seicento. A Napoli, le sculture subirono estesi restauri integrativi, in particolare sotto la direzione dello scultore di corte Carlo Albacini, a causa dell'incuria, dell'abbandono delle residenze romane e dei danni subiti durante il trasporto.
Le sculture furono inizialmente distribuite in diverse destinazioni (Reggia di Caserta, Palazzo Reale, Capodimonte e Villa Reale a Chiaia), per poi confluire definitivamente nel Real Museo Borbonico (oggi Museo Archeologico Nazionale di Napoli - MANN), inaugurato nel 1816.
Capolavori Scultorei della Collezione Farnese
La collezione Farnese è ricca di capolavori di arte antica, gran parte dei quali sono repliche romane di celebri originali greci, realizzate secondo la diffusa pratica copista romana, che attribuiva alle repliche uno statuto paritetico a quello delle nuove creazioni.
Eracle a Riposo (Ercole Farnese)
Questa scultura colossale in marmo (altezza 3,17 m), rinvenuta nel 1546 presso le Terme di Caracalla, raffigura l’eroe Eracle in atteggiamento di riposo. Il Titano poggia il peso del corpo sulla gamba destra e si sorregge con la clava, coperta dalla pelle del leone Nemeo.
Nella mano destra, nascosta dietro la schiena, Eracle cela i pomi delle Esperidi, l'ultima fatica completata. L'opera è una delle repliche meglio riuscite di un tipo statuario molto apprezzato nel mondo antico, attribuito all’originale bronzeo dello scultore greco Lisippo (IV sec. a.C.). La versione Farnese fu realizzata probabilmente tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C. e porta la firma (in greco) dello scultore Glykon di Atene incisa sulla roccia di sostegno: “ΓΛΥΚΩΝ ΑΘΗΝΑΙΟΣ ΕΠΟΙΕΙ”.
Toro Farnese (Supplizio di Dirce)
Il Toro Farnese, una delle opere più spettacolari dell'arte antica, è un colossale gruppo scultoreo rinvenuto nella palestra sud/orientale delle Terme di Caracalla nel 1545. Scolpito in un unico blocco di marmo (altezza 3,70 m), riproduce l’episodio del supplizio di Dirce: i gemelli Anfione e Zeto stanno per legare la matrigna Dirce (che aveva torturato la loro madre, Antiope) a un toro infuriato.
Al momento del ritrovamento era lacunoso e fu inizialmente scambiato per Ercole contro il Toro Maratonio. Fu restaurato da Guglielmo Della Porta e Giovan Battista Bianchi, un’impresa quasi trentennale (conclusa nel 1579), che identificò correttamente la scena come il Supplizio di Dirce. La scena è ispirata a un modello ellenistico di Apollonios e Tauriskos di Tralles (II sec. a.C.). L'analisi stilistica suggerisce che la replica Farnese sia una produzione romana, databile agli inizi del III sec. d.C., in concomitanza con la realizzazione del complesso termale.
Tazza Farnese
La “Tazza Farnese” è il più grande vaso inciso su pietra dura giunto dall'antichità. Realizzata in un raro pezzo di agata sardonica, presenta un affascinante contrasto di colori chiari all'interno e scuri all'esterno.
- Esterno: Mostra la testa della Gorgone Medusa (gorgoneion) inserita al centro di un’egida squamosa, simbolo di protezione e di terrore per i nemici.
- Interno: Vi è un bassorilievo complesso con otto figure in una scena allegorica ambientata in Egitto. Nonostante le molteplici interpretazioni, l’opera è un prodotto dell’Egitto Tolemaico. Il dibattito iconografico si concentra sull'interpretazione come allegoria della fertilità del Nilo (con l'uomo barbuto sul sicomoro che personifica il fiume, e figure come Eutheneia e le Horai che simboleggiano la prosperità e le stagioni), oppure come una rappresentazione dinastica della stirpe Tolemaica, forse commissionata da Cleopatra VII come auspicio di prosperità.
La Tazza ha una storia illustre, essendo stata parte del tesoro di Roma dopo la sconfitta di Cleopatra e Antonio, poi a Costantinopoli. Successivamente, passò per la corte di Federico II (notizia non confermata), il tesoro timuride in Oriente (documentata da un disegno persiano del XV secolo), e infine nella collezione di Lorenzo il Magnifico (1471). Entrò nella Collezione Farnese nel 1586, per eredità di Margherita d’Austria. La sua funzione originaria era probabilmente esclusivamente rituale (phiale per libagioni in cerimonie esoteriche), visibile solo da pochi eletti.
Altri Pezzi Significativi
- Atlante Farnese: Statua del Titano Atlante, che sorregge il globo celeste sulle spalle. Il globo presenta una delle più complete e antiche descrizioni della volta celeste e dello Zodiaco, seguendo le teorie astronomiche di Ipparco di Bitinia. L'opera, acquistata dai Farnese nel 1562, è di grande interesse scientifico. Sebbene la datazione più plausibile sia il II sec. d.C., alcuni studi la riconducono alla stessa officina rodia che produsse il Laocoonte, nel I sec. a.C.. Oggi è esposta nel Salone della Meridiana del MANN.
- Gruppo dei Tirannicidi: Replica in marmo bianco (II d.C.) del celebre gruppo bronzeo degli assassini del tiranno Ipparco ad Atene (Armodio e Aristogitone). Le sculture, acquisite dai Farnese nel 1586 e provenienti forse da Villa Adriana a Tivoli, rappresentano la migliore replica conosciuta del modello di Kritios e Nesiotes (477 a.C.).
- Apollo Citaredo: Statua in porfido rosso, marmo tipico dell’età imperiale e monopolio della casa imperiale, che raffigura il dio Apollo in riposo mentre imbraccia la cetra. L'opera, acquisita nel 1546, fu restaurata da Carlo Albacini nel 1790 che le diede la corretta interpretazione di Apollo Musagete, dopo essere stata confusa con "Roma trionfante".
- Flora Farnese: Statua monumentale in marmo (altezza 3,44 m), identificata come la divinità dei fiori e della primavera. Fu restaurata da Guglielmo Della Porta nel Cinquecento (che aggiunse testa e braccia). La scultura è una rielaborazione classicistica romana del tipo "Afrodite Louvre-Napoli" e risale probabilmente alla metà del II sec. d.C..
- Venere Callipigia: Scultura che raffigura Afrodite (Venere) nell'atto rituale dell'anasyrma (sollevare la veste) per ammirare maliziosamente la parte posteriore del corpo ("dalle belle natiche"). Acquistata nel 1593, la replica Farnese (metà del II sec. d.C.) deriva da un archetipo tardo-ellenistico.
- Piccolo Donario: Gruppo omogeneo di sculture di dimensioni ridotte raffiguranti i vinti di battaglie mitiche e storiche (Amazzone morta, Gigante morto, Persiano morto e Galate morente). Acquisito dai Farnese nel 1586, è riconosciuto come una replica del celebre monumento pergameno dedicato ad Atene per celebrare le vittorie contro i Galati e la barbarie.
Oggi, le sculture Farnese, sebbene mescolate inizialmente ai reperti dissepolti dagli scavi vesuviani e flegrei, sono state ricontestualizzate nell'allestimento del MANN, permettendo una ricostruzione storica precisa della loro origine e sviluppo rinascimentale.
Domande Frequenti sulla Collezione Farnese
– Cos'è la Collezione Farnese e chi l'ha avviata? La Collezione Farnese è considerata una delle più grandi e celebri raccolte di sculture antiche formatesi nel Rinascimento e, nonostante il suo trasferimento, è rimasta sostanzialmente intatta. Fu iniziata da Alessandro Farnese (futuro papa Paolo III) nel 1534.
– Quale era la sede originale della collezione a Roma? Il nucleo iniziale confluì nel nascente Palazzo Farnese a Roma, presso Campo dei Fiori. Successivamente, con l'accrescersi del numero di opere sotto il cardinale Alessandro Farnese il Giovane (il "Gran Cardinale"), le sculture furono distribuite anche in altre proprietà di famiglia, come la Farnesina, gli Horti Farnesiani e la fortezza di Caprarola.
– Quali furono gli scavi più importanti per la collezione? Un evento cruciale fu lo scavo a cielo aperto del complesso termale di Caracalla (Thermae Antoninianae) tra il 1545 e il 1546. Questi scavi, che servivano anche a recuperare materiale edilizio per il completamento del Palazzo Farnese, restituirono sculture monumentali come l’Ercole e il Toro Farnese, originariamente destinate a decorare le terme.
– Come si è evoluta la collezione dopo Paolo III? Dopo la morte di Paolo III (1549), la collezione passò ad Alessandro Farnese il Giovane. Sotto la sua egemonia nel mercato delle antichità, la raccolta assunse proporzioni smisurate e fu organizzata all'interno del Palazzo Farnese per celebrare la magnificenza della famiglia, con le opere monumentali esposte nel cortile. Nel 1586, si arricchì ulteriormente con il lascito di Margherita d’Austria, che includeva, tra l'altro, la celebre “Tazza” in agata sardonica e il Piccolo Donario.
– Perché la Collezione Farnese si trova oggi a Napoli? Alla morte dell'ultimo duca Antonio Farnese (1731), il ramo maschile si estinse e la collezione passò ai Borbone tramite Elisabetta Farnese. Suo figlio, Carlo III di Borbone, salito al trono di Napoli nel 1734, decise il trasferimento delle raccolte da Parma e Roma alla capitale del suo regno. Il trasferimento finale fu attuato da Ferdinando IV (I), che ottenne il permesso (ritenuto da alcuni estorto) da papa Pio VI nel 1787, disattendendo le volontà testamentarie di Alessandro Farnese.
– Dove sono conservati i marmi Farnese oggi? Le sculture furono inizialmente destinate a diverse località, tra cui Palazzo Reale, Reggia di Caserta e Capodimonte. Trovarono sistemazione definitiva nel Real Museo Borbonico (oggi MANN - Museo Archeologico Nazionale di Napoli), inaugurato nel 1816.
– Chi ha eseguito i restauri prima del trasferimento a Napoli? Lo scultore di corte Carlo Albacini fu incaricato di eseguire restauri integrativi sulle opere, un intervento resosi necessario a causa dell'incuria delle residenze romane e dei danni subiti durante il trasporto. Ad esempio, Albacini sostituì le gambe dell'Eracle a riposo, precedentemente integrate da Guglielmo Della Porta, con gli originali ritrovati.
– Quali dettagli identificano l'Eracle Farnese? L'Eracle a riposo, replica di un originale bronzeo di Lisippo (IV sec. a.C.), è colossale (3,17 m di altezza). Raffigura l’eroe stanco, barbuto e nudo, che poggia sulla sua clava, mentre cela i pomi delle Esperidi nella mano destra dietro la schiena. Sulla roccia di sostegno è incisa la firma dello scultore: “ΓΛΥΚΩΝ ΑΘΗΝΑΙΟΣ ΕΠΟΙΕΙ” (Glycon athenaios epoiei).
– Cos'è raffigurato nel gruppo del Toro Farnese? Il Toro Farnese, gruppo scultoreo colossale rinvenuto alle Terme di Caracalla, riproduce l'episodio del Supplizio di Dirce. I gemelli Anfione e Zeto stanno legando Dirce al toro per vendicare la madre Antiope, che era stata torturata da Dirce. L'opera è ispirata a un modello ellenistico di Apollonios e Tauriskos di Tralles (II sec. a.C.).
– Qual è il significato e la storia della Tazza Farnese? La Tazza Farnese è il più grande vaso inciso su pietra dura giunto dall'antichità, realizzato in agata sardonica. L’esterno presenta la testa della Medusa (gorgoneion); l'interno raffigura una complessa scena allegorica ambientata in Egitto, interpretata sia come allegoria della fertilità del Nilo (con l'uomo barbuto come personificazione del fiume), sia come celebrazione dinastica di Cleopatra VII. Ha una storia illustre, essendo passata dal tesoro di Roma a Costantinopoli, e successivamente, attraverso la collezione di Lorenzo il Magnifico (che la acquistò nel 1471), giunse ai Farnese nel 1586. La sua funzione originaria era probabilmente esclusivamente rituale (phiale per libagioni), visibile solo da pochi eletti.
– Qual è l'importanza dell'Atlante Farnese? La statua raffigura il Titano Atlante che sorregge il globo celeste. Il globo presenta una delle più complete e antiche descrizioni della volta celeste e dello Zodiaco giunte fino a noi, seguendo la teoria astronomica di Ipparco di Bitinia. Acquistata dai Farnese nel 1562, la scultura aveva finalità didascaliche e scientifiche, ed è oggi esposta nel Salone della Meridiana del MANN.
– Il Gruppo dei Tirannicidi è un originale greco? Il gruppo dei Tirannicidi (Armodio e Aristogitone) conservato al MANN è una replica in marmo bianco (II d.C.) del celebre gruppo bronzeo degli assassini del tiranno Ipparco ad Atene, commissionato a Kritios e Nesiotes (477 a.C.). Le sculture, acquisite nel 1586, rappresentano la migliore replica conosciuta del modello.
– Le sculture Farnese sono originali greci o copie romane? La maggior parte delle sculture sono repliche romane di celebri originali greci, tipiche della produzione copista romana. I romani attribuivano alle repliche uno statuto paritetico (se non superiore) a quello delle nuove creazioni, privilegiando la duplicazione delle iconografie più famose. La scultura greca è infatti nota quasi esclusivamente attraverso queste copie romane.