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Pompei, Insula meridionalis
Photo: Parco Archeologico di Pompei

Pompei, la città cristallizzata dal tempo dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., è da sempre oggetto di studi e scavi, ma la sua narrazione archeologica si è spesso concentrata quasi esclusivamente sull'istantanea di quel fatale giorno. Tuttavia, recenti indagini archeologiche, in particolare nell'Insula meridionalis – il quartiere meridionale del centro urbano antico – stanno portando alla luce una storia meno conosciuta ma altrettanto affascinante: quella della rioccupazione della città dopo la distruzione, un fenomeno a lungo "rimosso" dalla conoscenza archeologica. Questa "rimozione" è parte di ciò che gli studiosi definiscono l'"inconscio archeologico" di Pompei.

L'Inconscio Archeologico: Una Nuova Prospettiva di Scavo

Il modello tradizionale di scavo, spesso associato all'ottimismo illuministico e sintetizzato dalla visione di Sigmund Freud – che paragonava la rimozione psichica alla sepoltura e dissepoltura di Pompei ("La vanga porta tutta la città sepolta alla luce") – mirava a un'eliminazione totale dell'ombra, a una "messa in luce" completa. Questo approccio, pur fondamentale per rivelare la Pompei del 79 d.C., ha involontariamente rimosso le tracce della vita successiva all'eruzione, così come quelle dei sei o sette secoli di vita precedenti al 79 d.C.. Queste tracce "nascoste" – strutture obliterate, dimenticate o rifunzionalizzate – costituiscono proprio l'inconscio archeologico.

Già nel Settecento e nell'Ottocento, il concetto di "inconscio" (dal fundus animae di Baumgarten al das Unbewusste di Platner, fino all'esplorazione scientifica di Friedrich Schelling) era in fase di definizione parallelamente alla trasformazione dello scavo archeologico in un metodo scientifico. In questo periodo, l'immaginario dello scavo non prevedeva una "messa in luce totale" ma conservava un senso di mistero e oscurità. Ad esempio, la Regina Carolina, pur sognando di scavare tutta Pompei, comprese i limiti di tale impresa. In quel periodo, la rioccupazione post-eruttiva non era affatto ignorata; anzi, autori come Carlo Bonucci e Camillo Paderni facevano riferimento ai ritorni e alle tracce di coloro che erano tornati sulla città sepolta.

Un modello alternativo all'approccio freudiano fu delineato da Carl Gustav Jung, che propose una stratigrafia dell'anima basata su un "inconscio collettivo" che non può essere completamente illuminato, rimanendo un'"ombra". Sorprendentemente, il famoso sogno di Jung del 1909, che descrive una casa a più piani con livelli sempre più antichi e oscuri, risuona in modo straordinario con la conformazione archeologica di Pompei, e in particolare con la Casa di Giuseppe II nell'Insula meridionalis. Sebbene Jung abbia visitato Pompei solo nel 1923, la somiglianza tra il suo sogno e la realtà archeologica di Pompei suggerisce un parallelo tra lo sviluppo della psicologia e dell'archeologia come discipline che cercano di indagare l'ignoto.

Oggi, un cambiamento di paradigma nell'archeologia, come esemplificato dal progetto di Crypta Balbi a Roma, mira a riconoscere l'equivalenza di tutte le fasi di un insediamento urbano. A Pompei, pur riconoscendo il valore unico del livello del 79 d.C., è essenziale integrare le "tante Pompei" che giacciono nel sottosuolo, sia prima che dopo l'eruzione, evitando sia la rimozione sia un relativismo radicale.

Le Nuove Scoperte nell'Insula meridionalis: La Città che non ha Smesso di Vivere

Le indagini in corso nell'Insula meridionalis, in particolare negli Horrea, stanno rivelando l'estensione e la natura della frequentazione post-eruttiva, distinguendo due fasi principali:

  • Fase 1: Fine I – Inizi III secolo d.C.
  • Fase 2: IV – V secolo d.C.

Nelle ambienti 66 e 65 degli Horrea, sono stati individuati livelli di frequentazione con cumuli di cenere (residui di focolare) e frammenti ceramici tardo-antichi (ceramica sigillata africana, ceramica comune e da fuoco) databili tra il IV e la metà del V secolo d.C.. Particolarmente significativo è un frammento di lucerna con il monogramma di Cristo (Chi-Rho), databile al V secolo d.C., ritrovato nell'ambiente 65.

Ancora più rivelatrici sono le scoperte negli ambienti 81 e 63, originariamente un unico spazio. Qui, è emersa una struttura identificabile come un forno o area di cottura con tre punti fuoco, alimentati da brattee di pigna, pinoli e ossa animali combuste. La grande quantità di materiale ceramico associato e il ritrovamento di monete dei Costantinidi (prima metà del IV secolo d.C.) suggeriscono un insediamento prolungato e stabile piuttosto che temporaneo, spingendosi dal IV fino alla metà del V secolo d.C..

Al di sotto di queste tracce tardo-antiche, nell'ambiente 65, sono stati intercettati strati della frequentazione più antica (fine I – inizi III secolo d.C.). Qui sono stati rinvenuti numerosi frammenti di marmi, alcuni con iscrizioni, e ceramiche della stessa epoca. Una struttura a gradini, probabilmente una scalinata, realizzata con marmi di reimpiego, si impostava direttamente sulla cinerite del 79 d.C., indicando un accesso da una quota ben più alta rispetto al livello originario. Tracce di possibili rampe lignee e recinti provvisori suggeriscono una rapida riorganizzazione degli spazi.

Tra i rinvenimenti di questa fase più antica spiccano:

  • Un urceus monoansato con il titulus pictus di Umbricius Scaurus nell'ambiente 81.
  • Lo scheletro di un equino, colpito dall'eruzione del 79 d.C., ancora in fase di studio.
  • Un frammento di basamento di statua con iscrizione riferibile a Eumachia, sacerdotessa pubblica di età augustea.
  • La sepoltura di un neonato (II secolo d.C.) e una moneta di Antonino Pio (161 d.C.) nell'ambiente 72.

Questi dati dimostrano che l'area vesuviana, inclusa Pompei, subì una ripresa del controllo e una riattivazione delle infrastrutture, come la strada Nuceria-Stabiae, già pochi decenni dopo l'eruzione. I crolli di pareti e volte negli Horrea, visibili oggi, non furono causati dall'eruzione del 79 d.C., ma avvennero in un arco cronologico successivo, tra la fine del II e il IV secolo d.C., o addirittura a seguito di eventi sismici tra la fine del V e l'inizio del VI secolo d.C.. La rioccupazione, dunque, non fu un evento isolato, ma parte di un più ampio processo nell'area vesuviana, che sembra cessare intorno alla metà del V secolo d.C. con l'eruzione di Pollena del 472 d.C. e successive eruzioni nel VI secolo.

I Forni Tardo-Antichi: Segno di una Nuova Economia di Sussistenza

Un'altra testimonianza significativa di questa rioccupazione sono i forni domestici scoperti in varie case dell'Insula meridionalis. Nella Casa dei Mosaici Geometrici, all'interno dell'ambiente III, è stato trovato un piccolo forno per la cottura del pane di tipo familiare, costruito con materiali di reimpiego all'interno di una cisterna romana. Questo forno, databile tra la fine del III e il V secolo d.C., si impostava direttamente su strati eruttivi del 79 d.C.. Altri punti fuoco e una fornacella sono stati individuati nello stesso ambiente, suggerendo una sequenza di utilizzi legati alla cottura.

Un forno morfologicamente simile era già stato rinvenuto da Amedeo Maiuri nel 1936 nella Casa di Championnet I (ambiente 35), anch'esso realizzato con materiali di riuso e impostato su strati eruttivi. La presenza di questi forni per il pane, insieme ai ritrovamenti di una macina nella vicina Casa di Championnet II, suggerisce la presenza di un mulino e indica un'economia sempre più orientata alla sussistenza e alla produzione locale. In un periodo di instabilità, la capacità di produrre autonomamente il pane assumeva maggiore importanza, e la concentrazione di forni potrebbe indicare la presenza di più famiglie o comunità autosufficienti.

La "Città Invisibile" e la Tutela del Patrimonio

Le scoperte confermano che, contrariamente all'idea di un abbandono totale, Pompei è stata frequentata e rioccupata in modo stabile dopo il 79 d.C., almeno fino al V secolo d.C.. Questa "città invisibile", sebbene priva di grandi edifici pubblici o iscrizioni che ne attestino una rifondazione formale (come suggerito da Svetonio e Cassio Dione con l'invio di oikistai), rappresenta un "vivacchiare tra le rovine", un agglomerato che ha prosperato in modo più informale. Per troppo tempo, i suoi esili resti sono stati rimossi nell'entusiasmo di riscoprire la "città eterna" del 79 d.C..

La tutela del patrimonio archeologico oggi deve abbracciare questa "parte inconscia", riconoscendo che non consiste solo nei monumenti visibili, ma anche nel non-scavato e nell'invisibile. Il "vincolo archeologico" in Italia tiene conto di ciò, permettendo di presumere l'interesse culturale anche per reperti non ancora ritrovati. Il futuro dell'archeologia, anche grazie a nuove tecnologie che permettono di "guardare" nel sottosuolo e nelle strutture, implica una responsabilità verso le generazioni future, lasciando loro qualcosa da indagare con metodi ancora inimmaginabili. Valorizzare l'inconscio archeologico significa accettare che non tutto possa essere portato alla luce, ma anche che ciò che rimane nascosto possa essere conosciuto e raccontato attraverso supporti didattici multimededi, promuovendo una comprensione più sfaccettata e onesta della nostra memoria collettiva, che riconosca dubbi e difficoltà interpretative.

L'Insula meridionalis offre un esempio lampante di come la rilettura di vecchi dati e le nuove indagini possano riscrivere la storia di Pompei, rivelando una città resilienti e le molteplici vite che si sono succedute sulle sue ceneri.

Leggi l'articolo completo pubblicato sull’E-Journal degli Scavi di Pompei https://pompeiisites.org/e-journal-degli-scavi-di-pompei/ 

FAQ: Pompei Oltre il 79 d.C. – La Storia Nascosta della Rinascita e dell'Oblio

1. Cos'è l'Insula meridionalis e perché è così importante per la comprensione della storia post-79 d.C. di Pompei? L'Insula meridionalis è il quartiere meridionale del centro urbano antico di Pompei, che si estende tra la 'Villa Imperiale' a ovest e il Quadriportico dei Teatri a est. È importante perché, pur essendo stata solo parzialmente interessata dal "Grande Progetto Pompei", è attualmente oggetto di un grande intervento di messa in sicurezza, consolidamento e restauro che include nuove indagini stratigrafiche. Queste indagini hanno rivelato una ricchezza di dati relativi alla rioccupazione di Pompei dopo il 79 d.C., tracce che in molti casi erano state "letteralmente rimosse" negli scavi precedenti per raggiungere i livelli del 79 d.C.. L'Insula meridionalis offre così la possibilità di rivalutare una questione a lungo "rimossa" dalla conoscenza archeologica, che gli autori definiscono l'"inconscio archeologico" di Pompei.

2. Cosa si intende per "inconscio archeologico" di Pompei? L'"inconscio archeologico" si riferisce a tutte quelle tracce della vita a Pompei che sono state rimosse o obliterate dagli scavi tradizionali, che si sono focalizzati quasi esclusivamente sull'istantanea del 79 d.C.. Questo include non solo le evidenze delle frequentazioni post-79 d.C., ma anche le tracce dei sei o sette secoli di vita precedenti a quell'eruzione – ovvero strutture obliterate, dimenticate o rifunzionalizzate che si nascondono nel sottosuolo. L'Insula meridionalis, con i suoi livelli sotterranei addossati alle antiche mura, ne offre un esempio significativo.

3. Qual è la differenza tra l'approccio di Sigmund Freud e quello di Carl Gustav Jung al concetto di "inconscio" in relazione all'archeologia di Pompei? Il modello più comune di scavo dell'inconscio è stato sintetizzato da Sigmund Freud, che nel 1907 paragonò la rimozione psichica al destino di Pompei, osservando che "Per la rimozione la quale rende inaccessibile e contemporaneamente conserva qualcosa di psichico, in realtà non esiste analogia migliore del destino subìto da Pompei, che è stata sepolta ed è tornata alla luce ad opera della vanga". Questo modello riflette un ottimismo illuministico che immagina lo scavo (e la psicoanalisi) come un'operazione che elimina ogni ombra dell'inconscio, portando tutto "alla luce". Questo ha portato alla rimozione delle tracce post-79 d.C. e pre-79 d.C..

Carl Gustav Jung, d'altra parte, delineò una stratigrafia dell'anima basata su un "inconscio collettivo" che non può essere completamente illuminato, rimanendo un'"ombra". Il suo celebre sogno del 1909, che descrive una casa con piani sempre più antichi e oscuri che culminano in una caverna con ossa e cocci, presenta sorprendenti paralleli con la conformazione archeologica di Pompei, in particolare con la Casa di Giuseppe II nell'Insula meridionalis. Sebbene Jung abbia visitato Pompei solo nel 1923, la somiglianza suggerisce un parallelo tra lo sviluppo della psicologia e dell'archeologia come discipline che cercano di indagare l'ignoto, riconoscendo che non tutto può essere portato completamente alla luce.

4. Quali sono le principali fasi di rioccupazione di Pompei emerse dalle indagini nell'Insula meridionalis? Le indagini in corso negli Horrea dell'Insula meridionalis hanno evidenziato la presenza di livelli di frequentazione post-eruttiva, preliminarmente databili in due fasi distinte:

  • Fase 1: Fine I – Inizi III secolo d.C..
  • Fase 2: IV – V secolo d.C..

5. Quali scoperte significative sono state fatte negli Horrea che attestano la rioccupazione? Negli Horrea sono state fatte diverse scoperte chiave:

  • Negli ambienti 66 e 65, sono stati individuati cumuli di cenere (residui di focolare) e frammenti ceramici tardo-antichi (ceramica sigillata africana, comune e da fuoco) databili tra il IV e la metà del V secolo d.C..
  • Nell'ambiente 65, è stato trovato un frammento di lucerna con il monogramma di Cristo (Chi-Rho), databile al V secolo d.C..
  • Negli ambienti 81 e 63 (originariamente un unico spazio), è stata messa in luce una struttura identificabile come un forno o area di cottura con tre punti fuoco, alimentati da brattee di pigna, pinoli e ossa animali combuste. La grande quantità di materiale ceramico associato e il ritrovamento di monete dei Costantinidi (prima metà del IV secolo d.C.) suggeriscono un insediamento prolungato e stabile, dal IV non oltre la metà del V secolo d.C..
  • Al di sotto di queste tracce tardo-antiche, nell'ambiente 65, sono stati intercettati strati della frequentazione più antica (fine I – inizi III secolo d.C.) con numerosi frammenti di marmi (alcuni con iscrizioni) e ceramiche della stessa epoca.
  • Una struttura a gradini, probabilmente una scalinata, realizzata con marmi di reimpiego e impostatasi direttamente sulla cinerite del 79 d.C., indica un accesso da una quota più alta.
  • Tra i rinvenimenti più antichi (fine I – inizi III secolo d.C.) figurano un urceus monoansato con il titulus pictus di Umbricius Scaurus nell'ambiente 81, lo scheletro di un equino colpito dall'eruzione del 79 d.C., un frammento di basamento di statua con iscrizione riferibile a Eumachia, la sepoltura di un neonato (II secolo d.C.) e una moneta di Antonino Pio (161 d.C.) nell'ambiente 72.
  • Questi dati indicano che i crolli delle pareti e delle volte negli Horrea avvennero in un arco cronologico successivo al 79 d.C., tra la fine del II e il IV secolo d.C., o addirittura a seguito di eventi sismici tra la fine del V e l'inizio del VI secolo d.C., e non a causa dell'eruzione del 79 d.C..

6. Cosa rivelano i forni tardo-antichi scoperti a Pompei sulla vita post-eruzione? La scoperta di forni domestici in varie case dell'Insula meridionalis, come nella Casa dei Mosaici Geometrici e nella Casa di Championnet I, è una testimonianza significativa. Questi forni, spesso realizzati con materiali di spoglio o recupero e impostati su strati eruttivi del 79 d.C., erano utilizzati per la cottura del pane di tipo familiare e datano tra la fine del III e il V secolo d.C.. La presenza di questi forni per il pane, unita al ritrovamento di una macina nella vicina Casa di Championnet II, suggerisce la presenza di un mulino. Ciò indica un'economia sempre più orientata alla sussistenza e alla produzione locale. In un periodo di instabilità, la capacità di produrre autonomamente il pane assumeva maggiore importanza, e la concentrazione di forni potrebbe indicare la presenza di più famiglie o comunità autosufficienti.

7. Pompei è stata completamente abbandonata dopo il 79 d.C. o c'è stata una "rifondazione"? Contrariamente all'idea di un abbandono totale, le nuove scoperte confermano che Pompei è stata frequentata e rioccupata in modo stabile dopo il 79 d.C., almeno fino al V secolo d.C.. Fonti antiche come Svetonio e Cassio Dione parlano di Tito che inviò "oikistai" (rifondatori di città) e assegnò beni per la "ricostruzione delle città danneggiate" (riferendosi a Ercolano e Pompei). Questo suggerisce che la rifondazione non fu un fallimento, proseguendo fino alla tarda età imperiale, sebbene la nuova Pompei non divenne una vera città, ma piuttosto un "agglomerato, un vivacchiare tra le rovine". Per troppo tempo, i suoi esili resti sono stati rimossi nell'entusiasmo di riscoprire la "città eterna" del 79 d.C., rendendola una "città invisibile" a livello istituzionale e della memoria archeologica.

8. Come viene tutelato l'“inconscio archeologico” oggi? La tutela del patrimonio archeologico oggi deve abbracciare questa "parte inconscia". L'ordinamento italiano, attraverso leggi come la Rosadi-Rava (1909), la Bottai (1939) e il Codice dei Beni Culturali (2004), riconosce espressamente che il patrimonio possiede una parte 'inconscia': non consiste solo nei 'monumenti' visibili, ma anche nel non-scavato e nell'invisibile. Il cosiddetto "vincolo archeologico" tiene conto di ciò, permettendo di presumere l'interesse culturale anche per reperti non ancora ritrovati, basandosi su dati limitrofi o indagini non invasive.

Il futuro dell'archeologia implica una responsabilità verso le generazioni future, lasciando loro qualcosa da indagare con metodi ancora inimmaginabili. Questo concetto è alla base della "riserva archeologica" introdotta dalla Convenzione europea di La Valletta (1992), che mira a proteggere il patrimonio archeologico anche in assenza di resti visibili. Le nuove tecnologie permettono di "guardare" nel sottosuolo e nelle strutture, acquisendo dati sullo stato di conservazione delle parti non visibili e/o non ancora scavate.

Valorizzare l'inconscio archeologico significa accettare che non tutto possa o debba essere portato alla luce, ma anche che ciò che rimane nascosto possa essere conosciuto e raccontato attraverso supporti didattici multimediali e visite guidate, promuovendo una comprensione più sfaccettata e onesta della nostra memoria collettiva, che riconosca dubbi e difficoltà interpretative.

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