Fullonica detta di Stephanus (I,6,7)

I sei edifici inaugurati dal premier Matteo Renzi ed il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini con il Grande Progetto Pompei il 24 dicembre 2015 sono:
La Fullonica di Stephanus, una tintoria situata sulla Via dell’Abbondanza, la Casa del Criptoportico, che al momento dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. era in ristrutturazione, la Casa di Paquius Proculus, la Casa del Sacerdos Amandus, la Casa di Fabius Amandius e la Casa dell’Efebo, così battezzata per il ritrovamento di un porta lampada in bronzo oggi conservato al Museo archeologico di Napoli.

 

Fullonica detta di Stephanus (I,6,7)

Attività importante a Pompei era quella dei fullones, i lavandai: 13 officine lavoravano la lana grezza, in sette si provvedeva alla filatura e tessitura, in nove alla tintura, in diciotto al lavaggio. Rappresentativa è la 'fullonica di Stephanus' (menzionato in una scritta elettorale della facciata: proprietario o gestore?), ricavata ristrutturando una casa preesistente e destinando il piano terra all'attività lavorativa, quello superiore all'abitazione e all'asciugatura dei panni; in fondo all'edificio una serie di vasche serviva al lavaggio: i fullones pestavano i panni in una miscela di acqua e soda (non si conosceva il sapone) od orina, sostanze sgrassanti perché ricche di ammoniaca.

 

Casa del Criptoportico (I, 6, 2-16) Casa del Criptoportico (I, 6, 2-16)

Posta su Via dell’Abbondanza, con ingresso secondario su vicolo del Menandro, la casa deve la sua moderna denominazione alla presenza, al di sotto dell’ampio giardino quadrangolare, di un lussuoso criptoportico con grandi finestre, sul quale si aprivano una stanza di soggiorno (oecus) e quattro ambienti termali coperti da volte originariamente decorate in fine stucco. Le ali del criptoportico erano affrescate con un ciclo pittorico ispirato a episodi dell’Iliade, un pregevole esempio di pittura pompeiana di II Stile finale: al di sopra di grandi teste si snodava la lunga sequenza di quadretti con personaggi eroici e divini indicati da didascalie in greco. L’ampia sala di soggiorno (oecus), con un eccezionale pavimento a mosaico, presentava sulle pareti una composizione pittorica simile a quella del Criptoportico, ma con quadretti ispirati a soggetti dionisiaci, parzialmente staccata per fini conservativi. Il primo impianto della domus risale al III secolo a.C. e in seguito l’edificio arrivò a inglobare l’adiacente Casa del Sacello Iliaco. Dopo il terremoto del 62 d.C. le due abitazioni tornarono a essere divise e indipendenti. Con la ristrutturazione avvenuta negli anni successivi al terremoto del 62, la Casa del Criptoportico perse i caratteri di sontuosa residenza subendo profonde trasformazioni, che ne alterarono le originarie volumetrie e destinazioni d’uso. Il loggiato rivolto a mezzogiorno venne trasformato in sala per banchetti, con la realizzazione di un triclinio in muratura, interamente rivestito di intonaco dipinto a fondo rosso, animato lungo le sponde da raffigurazioni di piante fiorite e volatili. Nel 1914, durante lo scavo del giardino, furono ritrovati i resti di vittime dell’eruzione, forse gli abitanti della casa: di questi, raccolti in gruppi di sei e dieci individui, furono realizzati alcuni calchi, ora esposti nella mostra “Rapiti alla morte”, allestita nell’Anfiteatro di Pompei. La casa subì i danni del bombardamento del 1943.

 

Casa di Paquius Proculus (I,7,1) Casa di Paquius Proculus (I,7,1)

La casa, attribuita a un influente cittadino pompeiano, è affacciata su Via dell’Abbondanza e presenta una forma allungata irregolare determinata dalle varie trasformazioni avvenute durante la lunga vita dell’edificio. Risalente al II sec a.C., la casa si sviluppa su tre livelli ed è costruita in opera incerta con blocchetti di lava e calcare e stipiti delle porte in blocchi squadrati di calcare. La facciata, semplice e austera, mostra tracce della tettoia che proteggeva l’ingresso e i fori per il sostegno al balcone del primo piano. L’accesso principale conserva il celebre mosaico con il cane alla catena fra porte semi aperte, oltre a simboli militari (scudo, lancia e bipenne). Le pareti presentano grossi fori prodotti dal passaggio degli antichi rossore, scavatori clandestini che dopo l’eruzione si introducevano nelle case in cerca di cose preziose. L’atrio, il cui straordinario pavimento a riquadri geometrici con animali di vario genere, remi, timoni e testine umane è tra i più estesi e meglio conservati di Pompei, ha una forma trapezoidale derivata dalla chiusura dei cubicula (stanze da letto) poi inglobati nella contigua casa di Amandio. Ai lati dell’ingresso sono posti altri due cubicula, dei quali quello occidentale conserva le decorazioni pittoriche di I Stile e il pavimento geometrico in signino, mentre quello orientale è ornato in IV Stile con al centro un quadro mitologico. Sulla parete orientale dell’atrio si aprono tre porte, una delle quali con il calco delle ante. La parte posteriore della casa è occupata dal peristilio, caratterizzato da colonne in calcare rivestite di intonaco rosso e bianco, poi integrate da altre in laterizio. Al centro del giardino è presente una vasca di marmo con quattro colonne a sostegno del lussureggiante pergolato. Tra gli ambienti affacciati sul peristilio figura un sontuoso triclinio, ubicato nell’angolo orientale dell’edificio, con pareti dipinte in IV Stile e pavimento in II Stile provvisto di emblema con scena nilotica.

 

Casa del Sacerdos Amandus (I,7,7) Casa del Sacerdos Amandus (I,7,7)

La casa posta su Via dell’Abbondanza, prende nome dalle scritte elettorali ritrovate all’ingresso. La sua forma piuttosto irregolare è frutto delle numerose trasformazioni edilizie che hanno interessato l’intera insula dal II sec a.C al 79 d.C. La casa era dotata di un piano superiore, indipendente, del quale si conserva ancora l’accesso al balcone in facciata, che ospitava l’officina di un tabellarius, ovvero un costruttore di tavolette cerate, trovate carbonizzate in grande quantità fra le macerie e i crolli dell’edificio. Sull’atrio si aprono le stanze più importanti della casa, tra le quali uno dei triclini (b) che conserva sulle quattro pareti decori di III Stile con raffigurazioni mitologiche e pavimento in signinum con motivo geometrico di II Stile, e uno dei cubicula (c), anch’esso con pitture di buona qualità sempre di III Stile e pavimento in cocciopesto e un armadio a muro. Questi due ambienti sono separati da un vano scala che conduceva agli ambienti superiori e alla loggia sul giardino.

 

 

Casa del Sacerdos Amandus (I,7,7)

Casa di Fabius Amandius (I, 7, 2-3)

Tipico esempio di piccola casa per il ceto medio pompeiano, stretta e allungata, l’edificio risale all’età sannitica ed è costruito interamente in opus incertum con blocchetti in lava vesuviana e calcare del Sarno. Rispetto alle grandi case, questa sembra un’abitazione in miniatura che sfrutta vari espedienti per guadagnare spazio: si sviluppa infatti su due livelli, con il superiore dotato di un lungo balcone affacciato su Via dell’Abbondanza. Nella carenza di spazio interno, i vani scala avevano anche altre funzioni, come quello aperto sulla strada che conservava una decina di pettini da tessitore, circostanza che ha fatto pensare anche alla funzione di bottega tessile. L’atrio ha l’impluvio con il pavimento rivestito a mosaico e al centro la bocca della cisterna in asse con l’ingresso (fauces); le pareti sono dipinte in IV Stile con ampie campiture a fondo rosso e riquadri con paesaggi pastorali e sacrali. Mancano i cubicula (stanze da letto) e lo spazio dell’atrio è ricavato da tre ambienti dell’adiacente casa di Paquio Proculo, le cui porte originali si riconoscono ancora perché trasformate in armadi. Il triclinio, accanto alle fauces, è anch’esso minuscolo, dipinto in IV Stile con pavimento in signinum a tessere e lastrine di marmo. Anche questa casa era stata visitata dai “fossores”, gli scavatori clandestini che dopo l’eruzione del Vesuvio si introducevano negli edifici in cerca di cose preziose (il cunicolo di passaggio è visibile sulla parete est della casa). Il viridario serviva a dare aria e luce all’intera dimora; si tratta di un piccolo giardino con le pareti dipinte a motivi vegetali per ampliare visivamente lo spazio, mentre sullo stipite del triclinio era rappresentata una graziosa fontana di marmo, nella quale uccelli vanno ad abbeverarsi.

 

Casa dell'Efebo (I 7,10-12.19) Casa dell'Efebo (I 7,10-12.19)

La domus, ricca dimora del ceto mercantile pompeiano, costruita aggregando case più antiche comunicanti una con l’altra, si segnala per il lusso e il fasto delle decorazioni delle pareti e dei pavimenti. L’edificio ha restituito inoltre ricchi servizi da banchetto e opere d’arte di pregio, tra cui una statua in bronzo di un Efebo, che ha dato nome alla casa. Entrando, a destra si incontra il quartiere privato della famiglia con il larario, i cubicula e le stanze di servizio. A sinistra si trova invece il quartiere di rappresentanza, destinato ai ricevimenti: di particolare pregio l’elegante esedra con pavimento a mosaico di vivaci pesci guizzanti e il triclinio invernale con splendido pavimento in marmo con al centro motivi floreali arricchiti di elementi in vetro lavorati a rilievo.
A un livello inferiore si apre l’area del piccolo e elegante giardino, con i banchi del triclinio estivo al di sotto di un pergolato sostenuto da quattro colonne rivestite in stucco; lungo le pareti interne del letto tricliniare sono raffigurati quadretti con scene di paesaggio nilotico, mentre al centro era allestita una fontana con ninfeo, dove si rinvenne una statuina in bronzo con una conchiglia adattata a getto d’acqua.

Fonte: SSPES

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