Palestra grande di Pompei – 15 dicembre 2023 / 15 dicembre 2024
La vita quotidiana della popolazione comune, composta da schiavi, liberti, artigiani e lavoratori di varia categoria, quella Pompei spesso silenziosa nelle fonti antiche, è in primo piano nella mostra "L’altra Pompei".
La mostra "L’altra Pompei. Vite comuni all’ombra del Vesuvio", in corso dal 15 dicembre 2023 al 15 dicembre 2024, si addentra nelle vite quotidiane delle classi meno abbienti di Pompei. Attraverso sette sezioni tematiche, la mostra presenta una visione inclusiva e autentica di una società antica spesso trascurata. Queste sezioni coprono aspetti vitali come l'infanzia, l'alimentazione, la famiglia servile, l'abbigliamento, il tempo libero, la mobilità, la conoscenza del mondo, il commercio, e la spiritualità e la morte, offrendo una panoramica completa della complessità e della ricchezza della vita quotidiana pompeiana.
Ogni sezione offre un'immersione profonda in aspetti spesso trascurati della società antica.:
- Infanzia: Rivela le condizioni di vita dei bambini e la loro alta mortalità.
- Cibo e Nutrizione: Esamina le differenze sociali attraverso il regime alimentare.
- Familia Servile: Tratta la vita degli schiavi e della famiglia romana.
- Abbigliamento e Cura di Sé: Mostra la moda e i costumi delle classi più basse.
- Divertimento e Tempo Libero: Presenta le forme di intrattenimento popolari.
- Mobilità e Conoscenza del Mondo: Esplora i viaggi e le interazioni con culture straniere.
- Spiritualità e Morte: Affronta le credenze religiose e le pratiche funerarie.
Questa mostra lascia intendere che di Pompei ne esista più d’una, al netto della nuova Pompei. No, la Pompei antico-romana è una sola, luogo di memoria davvero unico al mondo a causa della nota vicenda eruttiva. Ma il fatto che la città sia stata paralizzata da lapilli e cenere non ha reso Pompei un luogo fermo, tutt’altro. Lo scavo, iniziato secoli fa, continua tuttora, e anche le indagini storico-scientifiche sono incessanti. Un vero e proprio cantiere di memoria, sempre aperto. Ed è proprio l’intensa attività di ricerca a condurci “nell’altra Pompei”, la Pompei dei ceti meno abbienti, dei reperti meno spettacolari, una Pompei più “sommersa” di quella celebre che conosciamo. E d’altro canto è la Pompei maggioritaria, perché non solo la sociologia e la storia, ma anche il buon senso e l’esperienza comune, ci insegnano che gli strati sociali più opulenti, gli avvenimenti documentati perché extraordinari, i monumenti più appariscenti, costituiscono una esigua minoranza rispetto all’intero corpus dei fenomeni. La Storia maiuscola si tramanda più agevolmente, certo, rispetto a quella “minore” e tuttavia dobbiamo soprattutto alla storiografia francese dello scorso secolo, con Bloch e Febvre, Braudel e Ariès, l’apertura di nuovi, fecondi canali di indagine sul nostro passato. Le usanze, i costumi, le mentalità dei ceti medio-bassi di una società sono sempre e ovunque quelli più diffusi. Ecco perciò l’ubicazione de “l’altra Pompei”! Non nelle sontuose domus affrescate e dotate di spaziosi atrii, bensì negli spazi più ristretti, talora angusti, dove abitava e si muoveva il popolo; non suppellettili di lusso bensì oggetti d’uso ordinari, modesti. Non la ricca Pompei che emerge agli occhi dei visitatori bensì la Pompei meno visibile – e in parte mai vista – quella che giace nei depositi. Questa attenzione non è frutto solo dei nuovi approcci storiografici su accennati, ma anche della odierna sensibilità che dirige la sua attenzione altrove. E d’altronde questa lettura non è necessariamente condotta per suffragare interpretazioni conflittuali “di classe”, bensì per allargare l’orizzonte conoscitivo. “L’altra Pompei” non si oppone alla Pompei celebre, bensì la affianca, non esisteva un “muro di Pompei” che separava le due entità! “L’altra Pompei” è semplicemente un pezzo, il più cospicuo, di quella istantanea antica, di quel plurisecolare “come eravamo”, che la storia ci ha consegnato e che noi abbiamo il compito di custodire, tramandare e valorizzare.
Gennaro Sangiuliano
Ministro della Cultura
Maggiori dettagli sulla mostra:
Apparati multimediali
Al fine di soddisfare appieno le premesse metodologiche e le tematiche affrontate valorizzando i reperti nella loro unicità e coniugando le esigenze della scientificità del racconto con quelle della massima chiarezza espositiva e della più ampia fruizione, si è valutato opportuno integrare il percorso espositivo con alcuni contenuti multimediali. Nel progetto scientifico e di allestimento sono stati pertanto considerati tre interventi multimediali che consistono nei seguenti contributi: 1. Un video nella sezione iniziale, una grande proiezione a parete in cui il visitatore è introdotto da una teoria di personaggi al tema della mostra attraverso un racconto che lo accompagna ad una progressiva scoperta delle esperienze quotidiane e dei luoghi abitati e vissuti dalle persone comuni. 2. Due proiezioni di graffiti di tema quotidiano nella sezione dedicata alla familia. 3. Nella sezione finale dedicata alla morte un video immersivo che coinvolge il visitatore nei gesti della cura dei defunti e nel rituale funerario dell’incinerazione.
Allestimento
La mostra si sviluppa lungo il braccio Ovest della Palestra Grande del Parco Archeologico di Pompei (Regio II). L’allestimento, dominato dai colori intensi, è profondamente influenzato dai temi affrontati dalla mostra, legati agli individui normalmente destinati all’oblio della storia le cui vite precarie, subalterne, si consumavano in stanze anguste e poco illuminate. Le sette sezioni sono ospitate in spazi riorganizzati mediante strutture a pianta triangolare, alte tre metri, che fendono lo spazio e rendono sinuoso e articolato il percorso di visita. Ogni sezione, in tal modo, diventa un ambiente a sé stante fortemente connotato dalle diverse soluzioni espositive adottate per ciascun contesto. Queste strutture metalliche, pensate per ospitare testi, immagini o intonaci dipinti, sono caratterizzate da un doppio rivestimento, il primo in cartongesso verniciato di un rosso vivido, il secondo in lastre di ferro con una patina di calamina (strato di polveri di ossido) che conferisce una colorazione bluastra molto scura, tendente al nero. La doppia “pelle” si pone come metafora del contrasto tra la materia viva, magmatica dello strato sottostante di una terra vulcanica e quella inerte, caliginosa, delle ceneri che ricoprono ogni superficie. Le teche che accolgono i reperti sono semplici lastre di ferro calamina sorrette da leggere strutture in scatolari verniciati di nero, così da fondersi col nuovo pavimento in linoleum dello stesso colore. In tal modo, i piani espositivi, nella loro essenzialità, enfatizzati dalle luci di sala, sembrano quasi sospesi negli spazi della Palestra. Alcune sezioni sono inondati di luce naturale da cui poter ammirare la veduta del cortile centrale della Palestra, altri invece questa visione è volutamente negata come nello spazio centrale dell’Esedra (sezione “Familia”), dominato dalla presenza di tre recinti che riproducono le dimensioni di stanze reali in cui vengono esposte copie dell’intero arredo restituito sullo scavo dalla tecnica dei calchi.
Prefazione
Silvia Martina Bertesago
Gabriel Zuchtriegel
L’altra Pompei è una mostra che invita il pubblico a gettare uno sguardo inconsueto sulla città antica. Ci siamo accorti che in uno dei siti più frequentati al mondo, ma anche meglio conservati dell’antichità, si tende a raccontare una storia parziale, minoritaria, dimenticando sistematicamente e per ragioni diverse (per tradizione degli studi, abitudine, difficoltà a recuperare i dati, eccetera…) le vicende dei più. E non può che essere altrimenti, perché la storia adotta sempre un punto di osservazione e ciò che possiamo ricostruire del passato si scontra con la frammentarietà delle fonti. C’è però anche da registrare una tendenza ben radicata, che parte dagli scrittori antichi e che continua negli studi moderni, che è quella di privilegiare tendenzialmente la posizione dei ceti sociali emergenti, quelli che conosciamo meglio, perché in un certo senso hanno fatto la storia e sono riusciti a tramandarla. Anche la visita al sito, risentendo di questo approccio, si fa spesso discontinua: si attraversa la città passando da un’importante domus all’altra, da un edificio pubblico a un altro, superando distrattamente e tralasciando una miriade di spazi indistinti, privi di connotati, che però esistono e completano la trama urbana. E le persone che vi hanno vissuto e operato, ugualmente dimenticate, costituivano il tessuto sociale della Pompei del I secolo d.C., la maggioranza della popolazione. Questa mostra è stata dunque un atto di memoria verso questa maggioranza, uno sforzo di immedesimazione e per certi versi di immaginazione, condotto scavando nella massa indistinta che definiamo genericamente come ceti umili, classi mediobasse, per tirare fuori le persone e le loro storie, setacciando le unità abitative alla ricerca di quei luoghi muti che hanno ripreso vita. Nel fare ciò, abbiamo volutamente rinunciato a un approccio che in passato ha più volte caratterizzato progetti didattici e espositivi volti a puntare la luce sui ceti non-elitari: ci riferiamo a una rappresentazione di questi gruppi sociali focalizzata sul lavoro e sui mestieri. In tal modo avremmo corso il rischio di reiterare l’ideologia dominante nell’antichità, elaborata nella Grecia classica e da lì trasmessa ai Romani, che appunto riduceva la “plebe” (parola che deriva da com-plere, in quanto composta da persone che “riempivano” e “completavano” lo Stato senza esserne pienamente parte) a un bacino di manodopera e di crescita demografica. Che anche i gruppi non-elitari partecipassero invece alla “cultura” nel senso più ampio, è una nozione che in Italia ha trovato un terreno particolarmente fertile, grazie soprattutto alle riflessioni che Ranuccio Bianchi Bandinelli dedicò a ciò che definì “arte plebea” (“Dialoghi di Archeologia”, 1, 1967, pp. 7-19). Sin d’allora, il concetto di “arte plebea” o “arte popolare” è stato oggetto di un’analisi critica che ne ha evidenziato le potenzialità e i limiti (vedi Francesco De Angelis, Jens-Arne Dickmann, Felix Pirson, Ralf von den Hoff, a cura di, Kunst von unten? Stil und Gesellschaft in der antiken Welt von der “arte plebea” bis heute. Beiträge zu einem Kolloquium anlässlich des 70. Geburtstags von Paul Zanker, Rom, Villa Massimo, 8. bis 9. Juni 2007, Wiesbaden 2012). Proponiamo qui un ulteriore sviluppo di questo concetto, che nella mostra viene del tutto spogliato della sua impalcatura storicoartistica per diventare un’analisi complessiva della cultura materiale di un determinato contesto sociale. L’“arte della plebe” che raccontiamo è un insieme di testimonianze, cui manca la coerenza storico-artistica implicita nel concetto dell’“arte plebea” opposta all’arte “aulica” derivata dalla tradizione greco- ellenistica. E tuttavia ne costituisce una rappresentazione nel senso heideggeriano e totalizzante della parola, perché arte della plebe comprende tutto ciò che è espressione di una forza creativa ed ermeneutica, indipendentemente dal valore artistico inteso in senso tradizionale. “L’arte della plebe”, cioè la materialità del mondo in cui viveva la maggioranza della popolazione, è infatti anche la pentola in ceramica da fuoco così come lo è l’affresco raffinato di un edificio pubblico o privato visto tramite gli occhi, non dei proprietari, ma dei servi, dei clienti, di donne, uomini e bambini che ci passavano davanti quotidianamente senza avere accesso alla vita (da quella culturale a quella culinaria) evocata dalle immagini commissionate dall’élite del tempo. Tutti coloro che hanno contribuito a offrire questo nuovo racconto fanno parte della Pompei di oggi. Nella convinzione che il museo del futuro si contraddistingua per una sostanziale coincidenza tra l’approccio all’oggetto storico di una ricercamostra da un lato e il metodo di confronto e di condivisione dei risultati di quella ricerca dall’altro, abbiamo puntato sulla valorizzazione delle competenze presenti nel nostro Istituto, spesso oscurate da una vulgata che stenta a far emergere che – insieme alla tutela e alla valorizzazione – la ricerca rappresenta una parte integrante della missione di ogni luogo della cultura. Prefazione Silvia Martina Bertesago Gabriel Zuchtriegel sponsor Il progetto scientifico, la definizione delle sezioni tematiche, ma anche tutti i contenuti prodotti per i video e per l’applicazione sono stati pertanto curati e scritti dai funzionari e dai collaboratori del Parco Archeologico, che compaiono anche come autori principali di questo volume. A tutti loro va il nostro ringraziamento. Anche tutte le fasi amministrative propedeutiche alla mostra, così come la supervisione delle fasi esecutive e la comunicazione dell’evento sono state curate dagli uffici interni del Parco, cui va il nostro riconoscimento. Del Parco Archeologico di Pompei è poi la maggior parte dei materiali scelti, che proviene dai nostri depositi. Per documentare i vari temi abbiamo infatti privilegiato spesso reperti mai esposti prima, anch’essi forse un po’ dimenticati nei nostri magazzini oppure frutto di recenti scoperte, che sono stati appositamente restaurati da personale del Parco. Solo quattro sono i prestiti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che ringraziamo nella persona del direttore e dei suoi funzionari per la generosa disponibilità. Questa esposizione tuttavia ha voluto mettere al centro più le persone che le opere e potremmo dire che mancano pezzi eccezionali per fattura e pregio o a livello estetico. Il fulcro della mostra non sono tanto i reperti archeologici, ma i contesti con le ricostruzioni fedeli di tre stanze, ambienti di vita quotidiana, sapientemente restituite sullo scavo grazie alla tecnica dei calchi e poi riprodotte per essere esposte al pubblico. Progettare questo percorso espositivo è dunque stata anche una sfida museografica: abbiamo tentato di creare un racconto facendo a meno dei capolavori che normalmente scandiscono la drammaturgia di un’esperienza di mostra. Sarà il pubblico a giudicare in che misura ci siamo riusciti. Un progetto così articolato ha dovuto necessariamente coinvolgere varie professionalità specifiche che si sono occupate delle fasi di progettazione e realizzazione dell’allestimento, della grafica e dei contenuti multimediali, nonché delle ricostruzioni e delle riproduzioni dei calchi, dei restauri, dei trasporti. A tutti i professionisti coinvolti va la nostra riconoscenza. Mediante un sistema che funziona sull’app MyPompeii, elaborato grazie ai tecnici informatici – che ringraziamo – il visitatore potrà sorteggiare la propria identità antica, comprendendo quanto fosse normale e facile essere una delle tante persone comuni che abitavano uno spazio anonimo, che potrà poi essere fisicamente raggiunto seguendo le indicazioni fornite dall’applicazione stessa. L’esposizione ha beneficiato della sponsorizzazione di American Express Italia, un importante sostegno economico che ha contribuito a un maggiore autosostentamento delle attività di ricerca e valorizzazione. Questa mostra è quindi anche espressione dell’indirizzo del Ministero della Cultura che ha posto il tema della sostenibilità a tutti i livelli al centro della programmazione dei luoghi della cultura e che ringraziamo per l’attenzione mostrata nei confronti di un sito unico quale è Pompei, che ha ancora tanto da raccontare al nostro mondo contemporaneo.
Sezioni
— INFANZIA La vita dei bambini nell’antichità è quanto di più fragile ed impalpabile si possa immaginare. Pericoli legati alla gestazione e al parto, malattie e mancanza di medicinali efficaci, infanticidio ed abbandono legalizzato da una società che considerava l’infanzia una semplice tappa della vita, determinavano un tasso di mortalità, entro il primo anno di vita, del 30-40%. La morte colpiva prevalentemente i bambini delle famiglie di livello sociale basso, come poveri e schiavi. Il sorriso pieno di vita del piccolo Adone, sull’affresco della Casa di Successus (I 9, 3), contrasta tristemente con i nomi dei bambini e i numeri dei loro pochi anni di vita vissuti incisi sulle columelle, le pietre sepolcrali di forma antropomorfa stilizzata, con lo stesso rapporto dicotomico che lega la luce all’ombra.
— CIBO E NUTRIZIONE Il regime alimentare è un importante indicatore di differenziazione sociale. Alla base dell’alimentazione vi era il pane, consumato anche da solo dai più poveri, o associato ad altri cibi che potevano essere via via più elaborati e ricercati salendo la scala economica e sociale. Il ceto medio-basso mostra differenze tra la dieta dei servi e degli schiavi, caratterizzata da cibo specifico e razionato, e quella dei mercanti, dei bottegai e dei lavoratori, la cui alimentazione prevedeva un maggior numero di ingredienti sebbene combinati in preparazioni abbastanza standardizzate. La tavola imbandita di cibo povero al centro contrasta qui con alcuni affreschi di nature morte dove compaiono pesci e carni, cibi più ricercati e costosi, rispetto a quelli di origine vegetale più frequenti nell’alimentazione povera.
— FAMILIA SERVILE Familia (da famulus, schiavo) indica la famiglia romana, cioè l’insieme dei membri sottoposti all’autorità del capo famiglia: liberi (la moglie e i figli legittimi) e schiavi. Gli schiavi, privi di ogni diritto, erano strumenti di produzione al pari di un utensile, ma con il possesso della parola. I servi, che ricevevano cure in relazione al loro valore, erano numerosi nelle famiglie più agiate, con tante competenze legate alla casa e ai padroni. Nelle ville di campagna la familia rustica era composta dagli schiavi utilizzati per lavori agricoli. La ribellione e l’evasione, in caso di lavori più pesanti, potevano essere sedate anche con l’uso di ceppi. L’utilizzo sessuale delle schiave per il piacere del padrone era una pratica diffusa, ma non era considerata prostituzione, esercitata invece a pagamento, spesso da schiave, in luoghi pubblici e per strada.
— ABBIGLIAMENTO E CURA DI SÈ Tunicatus populus era il modo per indicare il ceto più basso della popolazione, che possedeva come unico vestito solo la tunica e non aveva diritto ad indossare, al di sopra di essa, la toga, come invece l’élite. La tunica più frequente tra i lavoratori e gli schiavi è esomide, lunga fino a metà coscia, fissata sulla spalla da una fibula e fermata in vita da una cintura. I pesanti lavori esigevano abiti idonei alla libertà nei movimenti. Un altro tipo di tunica era lunga al ginocchio, trattenuta da fibule su entrambe le spalle, con maniche che lasciavano scoperte le braccia. I mantelli in materiali grezzi venivano utilizzati sopra alle tuniche per trovare riparo dal freddo e dalle intemperie. I confronti tra i frammenti tessili carbonizzati e le tracce di stoffa impresse sui calchi delle vittime provano la diffusione di indumenti realizzati con standard qualitativi diversi a seconda dello status sociale ed economico.
— DIVERTIMENTO E TEMPO LIBERO Anche gli schiavi, i liberti o i liberi lavoratori trascorrevano momenti di divertimento. Potevano essere brevi soste dal lavoro o momenti rubati alla sorveglianza del padrone, in cui scambiare chiacchiere con gli amici, fare due tiri a dadi per strada o nei locali, intrattenersi agli spettacoli di farsa popolare come l’atellana, ai giochi nell’anfiteatro, fino all’occasione di festa principale dell’anno: i Saturnalia. Celebrati dal 17 dicembre in onore di Saturno, erano giornate straordinarie in cui si abolivano le differenze tra liberi e schiavi e tutti avevano diritto alla festa. I nuclei di reperti esposti propongono le principali tipologie di svago: al centro il teatro e la musica e ai lati gli spazi dedicati ai giochi da tavolo, ai divertimenti nelle botteghe, ai combattimenti gladiatori e alle terme.
— MOBILITÀ E CONOSCENZA DEL MONDO La conoscenza e l’idea che i ceti umili, spesso non istruiti, potevano avere del mondo è il tema di questa sezione. La grande nave carica di prodotti rivela il nucleo della riflessione: il viaggio. Spesso effettuato via mare e per motivi commerciali, era un’esperienza di vita piena di rischi, come ricordano gli antichi, ma anche fonte di arricchimento economico e opportunità di conoscenza. Attraverso le rotte marittime giungevano a Pompei prodotti finiti, materie prime e persone; spesso le classi non elitarie, prive di possibilità o motivazioni per viaggiare, avevano con loro il primo e unico contatto con culture straniere. Ma non per tutti era così: servi e uomini liberi potevano far parte dell’equipaggio delle navi, mentre gli schiavi spesso viaggiavano sotto forma di merce.
— COMMERCI Il Mediterraneo era un bacino inesauribile dal quale l’Impero si forniva di beni d’ogni tipo: il vino dall’Asia Minore e dall’Egeo; l’olio dal Nordafrica; i derivati della lavorazione del pesce, come il garum, dall’Italia meridionale, dalla Sicilia e dalla Spagna; la frutta secca dal Medioriente. Attraverso lo scalo portuale di Pozzuoli giungevano a Pompei cibi, materie prime e ogni genere di mercanzia.
— SPIRITUALITA’ E MORTE In cosa credevano gli abitanti dell’altra Pompei? Per rispondere abbiamo scelto di esaminare quei culti che più ci avrebbero potuto avvicinare al sentimento religioso di persone umili e spesso in condizioni di vita difficili: quelli di Dioniso e Iside. Legati ad attività commerciali e agricole, sono però anche culti connessi alla possibilità di cambiamento, di promessa di una vita nuova. Le valenze salvifiche di questi rituali si connettono così al tema finale, della morte, l’ultima fase della vita di un individuo, anch’essa diversa a seconda del livello socio-economico. L’unico contesto esposto è una tomba come tante, di medio livello, dove troviamo l’urna in cui sono stati raccolti i resti combusti dei defunti e delle offerte sparse durante il rituale dell’incinerazione che viene evocato nel video conclusivo.
La mostra - sponsorizzata da American Express Italia - è stata inaugurata e presentata alla stampa il 15 dicembre dal Direttore del Parco archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel.
Fonte: Parco Archeologico di Pompei