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Pompei News

Pompei: Apertura delle Terme Femminili del Foro

Restauratrice al lavoro su uno degli affreschi delle terme

Tutti i giorni dalle 10,30 alle 14,00 - Costo 5€

Apre al pubblico dall’ 8 marzo la sezione femminile del complesso delle Terme del Foro, al termine dei lavori di manutenzione e restauro.

I QUATTRO STILI DELLA PITTURA POMPEIANA

La prima tecnica che si incontra a Pompei, diffusa negli edifici e in particolare nelle abitazioni, si verifica a partire dall'età sannitica, ossia dal 150 a. C. fino all'80 a.C., consiste in una plastica imitazione del marmo variegato, dell'alabastro o del porfido: essa è detta "stile dell'incrostazione" e deve il nome alla voce crusta, che significava anche "rivestimento con lastre di marmo". Si tratta di imitazioni eseguite con i colori predominanti rosso e nero con una striscia gialla in basso, che formano un efficace contrasto di tinte con un giuoco sottile di figurazioni astratte. A Pompei questo stile si incontra nella Basilica e nel Tempio di Giove, ma anche in alcune abitazioni private, come la Casa del Fauno.Questa maniera, regolare ed elementare, di decorare, o meglio di colorare e ritmare le pareti che troviamo a Pompei, ha precedenti e manifestazioni pressoché contemporanee e appena precedenti in tutto il mondo ellenistico. Le tinte sono intense, in origine certo violente, segno di una sensibilità cromatica elementare, della quale nella Grecia classica sono una testimonianza precedente ad esempio i vasi a figure rosse su fondo nero. Questo tipo di decorazione che in ordine di tempo compare primo nelle città campane, è stato chiamato dal Mau, lo studioso tedesco che per primo esaminò la pittura antica in uno studio sistematico. 


"Primo stile pompeiano" 200 a.C. - circa 80 a.C. definito strutturale - A Pompei ed Ercolano le pitture di questo stile contengono piccoli elementi architettonici, quali i pilastri per la divisione verticale delle superfici. Successivamente in un aspetto di quel che è noto come il "secondo stile" 80 a.C. - fine I sec. a.C. definito architettonico - (una fase che approssimativamente ricoprì gli ultimi tre quarti del I secolo a.C.) quest'ultimo tema architettonico prese completamente il sopravvento. Una serie meravigliosa di dipinti provenienti da una sala della Villa di Publio Fannio Sinistor, che era una delle numerose abitazioni di campagna esistenti nei dintorni di Boscoreale, costituisce l'apogeo dell'evoluzione della tecnica. I riquadri, che ora sono visibili nel Metropolitan Museum of Art di New York, sono altrettanti capolavori divisi l'uno dall'altro da snelle colonne che conferivano alla sala l'aspetto di un chiostro, da cui si godeva la vista di uno scenario ardito e vivace di strade, di case e di atrii colonnati.
Non v'è dubbio che le pitture non siano altro che imitazioni di scenari teatrali relativi a rappresentazioni drammatiche di un tipo al quale fa riferimento anche Vitruvio. Eventuali confronti con la Campania possono soltanto essere immaginati, ma è sintomatico il fatto che Neapolis fosse un importante centro di arte teatrale. Per quel che riguarda Roma, Plinio il Vecchio racconta di uno scenario teatrale che con tutta probabilità non doveva essere diverso dalle pitture murali in questione. Realizzato da Appio Claudio Pulcro nel 99 a.C., si diceva che contenesse vedute di tetti di case così realistiche che perfino gli uccelli tentavano di posarvisi sopra. I Greci ed i Romani si dilettavano di trompe l'oeil e amavano storielle di questo genere.
Spesso il paesaggista pompeiano andava più vicino al soggetto e scendeva a dipingere i particolari dei giardini tanto prediletti dai suoi clienti. Anche in questo caso, come gia succedeva per i pittori di soggetti architettonici, sembrava che egli volesse imitare gli scenari teatrali i più celebri esempi di tale genere di lavoro che siano pervenuti fino a noi risalgono al periodo tra il 40 ed il 25 a.C. e sono i verdeggianti studi di argomento silvestre provenienti dalla Villa di Livia a Primaporta e ora conservati nel Museo Nazionale di Roma. Ma anche a Pompei gli esemplari dello stesso tipo abbondano, variando dalle scene tranquille scoperte nel 1954 nella Casa del Frutteto, e` che presagiscono gli arazzi francesi e fiamminghi conosciuti col nome di verdures, fino alle esuberanti visioni di belve esotiche. In particolare, i giardini delle case, in ossequio al principio che le pitture dovevano per quanto possibile corrispondere allo scopo cui erano destinate le stanze o le corti, avevano le pareti ricoperte con scenari in cui si vedevano fiori, cespugli e animali formanti quasi un'appendice degli stessi giardini che così si voleva far apparire più grandi. L'idea di dipingere soggetti naturali è stata ben sfruttata, ottenendo risultati affascinanti che conferivano sensazione di freschezza; essa, però, non era affatto una novità dal momento che le ghirlande di fiori e di frutti, dipinte o scolpite, erano ben note a Pergamo già nel II secolo a.C., allorché l'arte di quel regno era nel pieno vigore del suo rigoglio. Inoltre, un pittore greco di nome Demetrio, figlio di Seleuco, il quale era stato a Roma nel 164 a.C., venne specificamente chiamato "paesaggista" (topographos) e fu il primo uomo di nostra conoscenza ad essere così definito. Come tema letterario, il paesaggio era già stato fatto venire di moda negli anni dal 270 al 260 a.C. circa dalle poesie idilliche di Teocrito di Siracusa, il poeta pastorale della civiltà urbana che scriveva per i cittadini di Coo e di Alessandria mescolando sottilmente sofisticazione e semplicità, spiritoso realismo e convenzionalità tradizionale. Fra il fogliame dei quadri saltellano gli uccelli. Si vedono gli aironi fra i melograni, e nella Casa di Fabio Amandione v'è un gruppo di tre volatili appollaiati sul bordo di un'alta vaschetta marmorea destinata al loro bagno. Tali dipinti riproducevano gli uccelli che i giardini effettivamente contenevano nelle loro uccelliere, e gli artisti che prediligevano il tema dovevano assomigliare a uno dei personaggi del romanzo di Petronio, cioè a quel ragazzo che si interessava di due sole cose- degli uccelli e della pittura.
Era di moda dipingere pure animali morti, tra cui uccelli e pesci che compaiono, insieme con ortaggi e frutti vari, in una serie straordinaria di nature morte: soggetto che divenne, e poi tornò nuovamente ad essere, un tema favorito dei pittori di Pompei. Allora v'era l'usanza di inviare agli amici doni costituiti da generi da mangiare crudi, il che spiega il ripetersi di tanti quadri del genere.
Il trattamento del tema, in cui vengono abilmente combinati realismo e impressionismo, probabilmente doveva qualcosa a un celebre pittore greco fiorito verso il III Secolo a.C., di nome Pireico, il quale si era specializzato nel riprodurre soggetti del tutto comuni, come botteghe da barbiere, banchetti da ciabattino, asini e cibi, e, a un livello leggermente più rozzo, le svariate insegne dei negozi di Pompei possono in maniera analoga essere indirettamente addebitate alla sua opera. Ma a Pompei alcuni pittori del I secolo d.C. raggiunsero eccellenti risultati nelle vaste composizioni di figure umane. Già si e accennato alle grandi pitture di soggetto religioso che ricoprivano tre pareti di una stanza della Villa dei Misteri. Aventi per soggetto i misteri dell'iniziazione bacchica, esse si rifacevano in larga misura a modelli perduti originari di Pergamo. Ma il copista, se è questa la parola che si deve usare, era anche un artista di prim'ordine che è riuscito a conferire alle sue figure fantastiche e misteriose un alone straordinario di dignità divina, di violento movimento, di terrore, di magia, di esaltazione.
Nel IV secolo a.C. lo scultore Prassitele era riuscito a dare una realtà visiva all'essenza di un mondo ideale, creando delle figure che compendiavano in sé la diversità della natura divina; ed il maestro della Villa dei Misteri, pur lavorando con una materia difficile quale può essere l'intonaco di un muro, si rivelò un degno seguace del greco. La complessa composizione con cui egli decorò le pareti della casa lascia col fiato sospeso ed è stata giustamente definita come la più grande testimonianza esistente della pittura antica. Se essa risalga al tempo di Cesare (metà del primo secolo a.C.), o alla prima parte del regno di Augusto (31 a.C.-14 d.C.) non è stato possibile stabilirlo.
Fu forse sotto Augusto che venne di moda una tecnica pittorica nuova e diversa, conosciuta come il "Terzo Stile" 15 a.C. - 45 d.C. circa definito ornamentale - che verosimilmente dal punto di vista cronologico si sovrappose al Secondo Stile, ma che potrebbe essere continuata fino all'epoca di Claudio (41-54 d.C.). Gli artisti che aderirono alla nuova scuola rovesciarono completamente l'apertura tridimensionale dello spazio che era stata favorita fino a quel momento. Essi tracciarono sulla parete una struttura rada e inconsistente, simile al bambù, che riecheggia l'architettura soltanto in qualcosa di superficiale, di non funzionale e formalizzato: v'è anche una notevole infusione di motivi dall'Egitto, in seguito alla conquista del paese da parte di Roma avvenuta nel 30 a.C. mentre sono evidenti i collegamenti religiosi e commerciali con Pompei. In quel tempo i disegni architettonici degli artisti precedenti furono totalmente subordinati a un certo effetto piatto e decorativo reminiscente delle tappezzerie e dei tendaggi che, come rivelano i chiodi e gli uncini, erano usati per ricoprire le pareti. Le tappezzerie, che rappresentavano un ricco ramo dell'antica arte della tessitura e la cui perdita quasi completa costituisce una delle maggiori lacune delle nostre conoscenze, qualche volta avevano dei pannelli cuciti nel centro, sulla cui superficie i pittori che avevano adottato il nuovo stile inserivano piccole scene di argomento diversificato; lo possiamo ancora oggi vedere nei pannelli delle pareti della Casa di Marco Lucrezio Frontone in cui erano dipinti paesaggi e ville di campagna.
I più antichi paesaggi dipinti sulle pareti talvolta erano molto piccoli, ma quest'ultimi sono di dimensioni ancora più ridotte e spesso sembrano miniature adatte a medaglioni: oppure, veduti sul fondo unito, sembrano quasi piccoli quadri fatti sul cavalletto come ai nostri giorni si vedono di frequente. Eppure non si trattava di opere da cavalletto, perché in effetti il quadro veniva dipinto sulla parete in muratura; cioè facevano parte, parte integrale, dello sfondo murario, per quanto semplice esso potesse essere. L'avere quadri incorniciati e appesi alle pareti con corde e chiodi, come usiamo noi, agli antichi sarebbe sembrata cosa illogica, e una inorganica interferenza con la struttura della stanza. La soluzione da loro adottata e che più si avvicinava ai nostri gusti era quella di dipingere piccole scene (pinakes) su un supporto di stucco particolarmente fine per inserirle in posizione adatta nel modello generale della composizione pittorica murale. Di questo tipo sono, per esempio, i pannelli inseriti nel muro della sala da pranzo della Villa della Porta Marina di Pompei. Era anche usanza quella di realizzare speciali dipinti per pannelli racchiusi; entro cornici e provvisti di sportelli che si potevano aprire e chiudere. Ma anche questi quadri non erano destinati ad essere appesi; invece, si usava collocarli su qualche scaffale e su un sostegno da cui potessero essere facilmente veduti. Un'altra forma d'arte è stata incontrata nella Villa della Porta Marina, dove una delle pitture murali rappresenta un'opera incorniciata del genere accennato, eseguita con la tecnica trompe l'oeil. Qualche volta i dipinti venivano realizzati su marmo, il Museo di Napoli possiede un disegno particolarmente grazioso fatto su questo materiale in cui si vedono delle fanciulle che giocano ai dadi. La pittura è eseguita su due piani ed è firmata da un certo Alessandro Ateniese. Se il nome sia quello dell'autore del disegno, o dell'originale da cui derivato l'esemplare di Pompei, non possiamo stabilirlo, anche se si tratta evidentemente della copia fedele di un dipinto che risaliva alla fine del v secolo a.C. (un modello insolitamente antico). L'ombreggiatura degli abiti delle donne richiama alla memoria l'asserzione di Plinio, il quale diceva che era stato proprio in quel tempo, cioè poco prima del 400 a.C., che l'artista ateniese Apollodoro aveva inventato il disegno sfumato. Un'altra scena pompeiana su marmo con la rappresentazione dell'uccisione delle figlie di Niobe rivela uno stile che richiama qualche modello più tardo, dipinto a Pergamo verso la fine del m secolo a.C.


Il "Quarto Stile" 45 d.C. circa - 79 d.C. definito fantastico.
Questa tradizionale definizione diventa poco più di un inutile impedimento in quanto essa deve comprendere tutta una gamma di diversi tipi e generi di pittura. Alcuni ebbero inizio prima che terminasse il Terzo Stile e vennero adottati, simultaneamente o in tempi successivi, da prima della metà del I secolo d.C. fino alla definitiva distruzione delle città vesuviane. Erano gli stili in voga prima e dopo il terremoto del 62 d.C., come pure prima e dopo l'erezione a Roma della Domus Aurea di Nerone (64-8), che alcuni dei dipinti di Pompei e di Ercolano presagiscono e altri imitano. Dal momento che i dipinti del Quarto Stile appartengono agli ultimi anni di vita delle città, essi sono giunti a noi in quantità maggiore che gli esemplari delle maniere precedenti, e pertanto le diverse varietà del Quarto Stile, vedute nel loro complesso, numericamente superano di gran lunga tutte le altre messe insieme. Secondo l'opinione di uno studioso, vi furono almeno diciassette buoni artisti che operavano contemporaneamente; e, anche se il loro numero fosse alquanto minore, lo studio accurato dei dipinti di una delle case più importanti, quella dei Dioscuri, per esempio, dimostra la presenza più o meno contemporanea di molte mani diverse.
Una caratteristica di questi artisti è quella di reagire alle tendenze architettoniche del Terzo Stile; in altre parole, i nuovi pittori ritornano alle preferenze architettoniche del Secondo Stile esemplificate da Boscoreale. Essi, però, seguono soltanto in parte la strada a ritroso, dal momento che l'architettura da loro immaginata si dissolve nella fantasia. In verità qualche volta si eseguono studi realistici di città e di edifici, come è il caso dell' incantevole porto illuminato dal sole veduto da Stabiae. Ma spesso ammiriamo guizzi brillanti di inventiva architettonica assolutamente irreale incastonati in tralicci sottili come la filigrana: strutture inconsistenti magicamente elaborate in un'aerea prospettiva lungo scorci panoramici a precipizio. Alcuni di tali disegni sono sicuramente derivati, come i dipinti precedenti, da scenari teatrali.
Uno dei proprietari della Casa di Menandro, forse Quinto Poppeo, che era imparentato con la moglie di Nerone, Poppea, doveva essere un appassionato del teatro, dal momento che una stanza contiene un ritratto di Menandro (drammaturgo morto verso il 290 a.C.), identificato dal nome scritto sull'orlo dell'abito e sul rotolo che tiene in mano. Per di più alcune rappresentazioni teatrali-sono effettiva mente raffigurate su qualche muro. Così nella Casa di Pinario Ceriale, a Pompei, un'intera parete è occupata da un dipinto che riproduce una scena della tragedia Ifigenia in Tauride di Euripide su un fondale trattato architettonicamente. Sebbene ancora una volta temi del genere potessero risalire ad antichi modelli greci, la loro popolarità nel periodo considerato forse era in parte dovuta alla passione dell'imperatore Nerone per il canto e per la recitazione.
Gli antichi miti erano tutt'altro che morti; raggiungevano, anzi, profondi livelli nel sentimento del conscio e dell'inconscio, e fornivano innumerevoli temi a un gran numero di artisti di Pompei e di Ercolano. Quei pittori imitavano originali greci, ma lo facevano con grande libertà di fantasia, e con il dovuto riguardo per i loro propri scopi e per l'ambiente specifico in cui si svolgeva la loro opera. La libertà che essi si prendevano può essere dimostrata quando ci viene concessa l'occasione (come effettivamente capita qualche volta) di confrontare con l'originale due o più copie eseguite da uno dei pittori pompeiani; possiamo allora vedere che le copie differiscono sensibilmente l'una dall'altra. I modelli greci utilizzati dagli artisti delle città del Vesuvio, e che ad essi erano noti da raccolte d'arte, da repertori e da libri, generalmente non venivano derivati dai grandi maestri classici del v secolo a.C., ma furono preferibilmente ispirati alle opere di artisti di epoca successiva. Alcuni di questi erano vissuti nel IV secolo a.C., cioè al tempo di Alessandro Magno (il quale morì nel 323), mentre altri appartenevano almeno al II secolo, e spesso comprendevano esponenti dell'arte cortigiana di Pergamo, la quale, come abbiamo veduto, produsse un dipinto delle figlie di Niobe e, soprattutto, ispirò la possente composizione dionisiaca della Villa dei Misteri. Grazie a tali prestiti è proprio a Pompei e a Ercolano che noi andiamo debitori di quasi tutto quello che sappiamo sulle scuole dell' arte greca che fiorirono successivamente, nel corso degli ultimi quattro secoli prima dell'avvento dell'era cristiana.
Gli artisti che operarono nelle due città vesuviane copiando e modificando opere precedenti restano per lo più sconosciuti, in quanto essi appongono la propria firma assai raramente. Un certo Lucio asserisce di aver dipinto varie scene, tra cui quella di Piramo e Tisbe, nella casa di Loreio Tiburtino; ma egli non è dei migliori. Un artista molto più dotato, anche se condivide il generale anonimato, è quello che dipinse Ercole e Telefo nella Basilica di Ercolano. Superbamente disegnata e dipinta con un abile giuoco di luci e di ombre, questa composizione elaborata, ma pur soddisfacente, è degna di figurare come uno dei capolavori che dall' antichità sono giunti fino a noi. Nel riconoscimento da parte di Ercole del proprio figlioletto Telefo, che gli aveva dato una sacerdotessa di Atena di nome Auge, non v'è scarsità di sentimento, e un particolare commovente è quello del bambino allattato da una cerbiatta. Ma l'emozione, o il sentimento, è espressa con classica misura e attraverso una limpida tecnica tridimensionale.
Altri dipinti creano il loro effetto con mezzi meno diretti. Così, per esempio, una scena di Perseo e Andromeda, sebbene le forme siano ancora solide e statuarie, è avvolta in una soffice luminosità che suggerisce una diversa concezione, comportante la creazione di un'atmosfera romantica piuttosto che eroica. Altre opere sono ancora più apertamente emotive e addirittura sensazionali. La Morte di Penteo, dilaniato dalle Menadi, evidentemente si prestava bene a questo trattamento, e lo stesso può dirsi di alcune delle scene più drammatiche della guerra di Troia. Il ciclo omerico, su cui si fondava tutta l'istruzione greca e romana, era particolarmente caro a Nerone, il quale, oltre a vantare una discendenza adottiva dalla casa regnante di Troia, scrisse pure un poema sul tema dell'Iliade, e, secondo quanto si raccontò, avrebbe declamato altri versi di propria fattura mentre ammirava l'incendio di Roma scoppiato nel 64 d.C. La scena del Sacrificio di Ifigenia, dalla Casa del Poeta Tragico, è piena di angoscia e di dramma istrionico, mentre quella di Achille che consegna Briseide rivela ansia e tensione psicologica. In Ulisse e Penelope si vede il pellegrino travestito preso da un turbamento quasi incontrollabile alla vista della moglie. E uno dei dipinti più grandi che siano giunti a noi dal mondo antico è una scena superbamente colorata proveniente dalla Casa di Menandro, dove, con una possente economia di particolari, si racconta la storia dell'introduzione del cavallo nella città di Troia ormai condannata. La storia costituiva anche il soggetto dei poeti del tempo; e Petronio, che era poeta oltre che romanziere, è uno di coloro che ne trattano: tipico della filosofia di Seneca, della sofferenza, della tristezza del fato immeritato. Su di esso aleggia la sensazione di vago timore e di mistero che si ritrova nella Farsalia (o La Guerra Civile), il poema epico di Lucano, che era nipote del filosofo. Il cavallo di legno ha un aspetto sinistro e scarno. Una luna quasi nascosta dà una debole luminosità spettrale, presaga di tragedia, cui si aggiunge il tremulo bagliore delle torce tenute da donne in lunghi abiti raccolte al centro. Per il resto il paesaggio è vago e oscuro, e così sono pure le torri e le mura che appaiono indistintamente sull'alto della scena. Ma emergono due forti sequenze di movenza drammatica: le figure in primo piano tese nello sforzo, cui fanno netto contrasto i personaggi statici che stanno in penombra più lontano.
In questi dipinti i volumi sono ampiamente abbozzati, i volti ed i sentimenti sono impressionisticamente suggeriti con pochi, ,audaci colpi di pennello, ed il mito è stato infuso con una vita nuova e briosa. Il successo della tecnica, senza alcun dubbio, va originariamente attribuito ai precursori greci dei pittori vesuviani, e, in particolare, ai Pergameni e ad altri che per primi si erano cimentati in questo spettacolare sfruttamento del chiaroscuro e dei sentimenti umani. I pittori di Pompei e di Ercolano hanno imitato quegli artisti; ma nel farlo evidentemente hanno anche improvvisato con un'abilità che merita quasi di essere considerata un risultato originale. Alcune delle personalità dei dipinti di soggetto mitologico sono state espresse in maniera assai vigorosa e sottile. Nell'Ercole e Telefo, per esempio, (un adattamento di una bella pittura Pergamena) si ammira una straordinaria interpretazione dello stesso Ercole che guarda il figlioletto con una simpatica aria di sorpresa. E la figura giovanile che nella medesima scena suona la siringa dietro l'immagine seduta di Arcadia, i cui occhi guardano nel vuoto, è il satiro per antonomasia: eccellente, anche se alquanto sinistro, esempio della passione per i ritratti dei fanciulli dei primi tempi dell' Italia imperiale (medaglioni dipinti raffiguranti fanciulli e fanciulle sono stati rinvenuti in molti posti di Pompei, anche se numerosi esemplari sono finiti sbriciolati e distrutti).
Le pitture eseguite durante gli ultimi decenni di vita di Pompei, di Ercolano e di Stabiae rivelano una stupefacente varietà di colori audaci, fluenti e abilmente sfumati. Considerando l'arte dell'epoca può darsi che alla fine, non prima che siano stati fatti molti altri studi, sia possibile individuare una certa evoluzione della moda. Per esempio, risulta già evidente che negli ultimissimi anni si andava affermando una forte tendenza per il nero e il bianco. Così nella Casa di Loreio Tiburtino una delle ultime opere consiste in una serie di medaglioni delle Stagioni, misteriosamente sospese su un'architettura evanescente contro grandi pannelli bianchi. Erano in corso di sperimentazione anche nuove idee sull'illuminazione, e gli artisti che decorarono la Casa dei Vettii hanno fatto apparire gli edifici come se si trovassero in un burrone inondato di luce, fra prospettive immense e profonde. Infondendo fresca animazione nei tradizionali paesaggi pastorali di alberi e tempietti, le nuove idee impressionistiche produssero capolavori come l'Ariete perduto, in cui le due figure dell'uomo e dell'ariete appaiono quali ombre davanti alle leggere pareti del santuario che ha per sfondo un romantico paesaggio di gole e di caverne. A un livello meno ambizioso si incontra una grande quantità di lavoro decorativo puro e semplice, con un parallelo nei superbi bassorilievi di stucco che sono un altro elemento caratteristico delle case private, oltre ad essere stati largamente utilizzati nelle terme pubbliche. Fu riportata anche in vita e sviluppata un'antica simpatia per i temi dell'Egitto, sintomo di un gusto particolare per i paesaggi più o meno fantastici di quel paese. Senza dubbio la moda esisteva anche altrove; ma Pompei, con i suoi collegamenti egizi, doveva essere particolarmente ricettiva in tal senso, e possiamo vedere le acque del Nilo in piena, le palme e i sicomori, i pigmei e le belve. In generale la riproduzione di animali, locali o esotici, incontrava molto favore, specialmente nei giardini: le Case di Marco Lucrezio Frontone e di Lucio Ceio Secondo contengono tutta una fantastica Africa. Inoltre, come si può facilmente verificare facendo una visita al Museo Vaticano, gli antichi italici eccellevano non solo nel dipingere gli animali ma anche nello scolpirli: una capra proveniente dalla Villa dei Papiri, un armonioso maiale di bronzo in corsa, oltre ad alcune teste di cavallo da Ercolano, costituiscono dei begli esempi di questo genere di arte. Per di più, come avveniva nei circoli di caccia di tempi successivi, l'amore per gli animali si mescolava curiosamente al gusto di vedere i medesimi brutalmente uccisi. La Casa dei Cervi di Ercolano deve il suo nome attuale a due gruppi di sculture riproducenti cervi assaliti dai cani. Si tratta di opere fatte con abilità e piene di tensione, ma è difficile essere d'accordo con l'esperto che li ha definiti ammirevoli esempi di gusto decorativo.

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